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Giornalismo online: Xanadu

Who, what, when, where, why… al tempo di Internet.

di Rina Brundu. Per certi versi, le discussioni sul giornalismo digitale che impazzano di-questi-tempi mi ricordano alcune scene del mitico film “Citizen Kane” di Orson Welles (1940). Nello specifico, mi ricordano i momenti in cui torme di giornalisti prendono d’assalto Xanadu, il grandioso castello e parco costruito dall’editore multimiliardario Kane, desiderosi quanto incapaci di carpire il significato della misteriosa parola ROSEBUD. In simil guisa, torme di professionisti moderni si interrogano sulla criptica espressione giornalismo digitale (o giornalismo online), proponendo ciascuno la personale interpretazione, ma senza che si giunga mai ad una visione condivisa che permetta una definitiva identificazione del Carneade in questione.

Come non bastasse, alla maniera dell’immenso castello Xanadu, dove tutto è esagerazione che trascende la reale necessità e dunque porta all’unitilità dell’essenza, anche la molteplicità delle fonti che si impegnano in queste speculazioni contribuiscono a detrimere la sostanza. Ovvero, contribuiscono a creare l’impressione che il giornalismo digitale sia qualcosa di vago, al più un riflesso del giornalismo tradizionale e che a quest’ultimo debba la sua esistenza. Niente di più sbagliato e niente di più deleterio, soprattutto in paesi come l’Italia, da sempre abituati a guardare con sospetto al nuovo che avanza. E questo mentre di tutto si avrebbe bisogno tranne che del mettere i bastoni tra le ruote allo sviluppo di quei canali e processi informativi che nel futuro prossimo determineranno il nostro destino. Perché non vi sono dubbi che nel tempo che verrà, l’equazione informazione=potere (in senso lato e anche in senso molto pragmatico) raggiungerà la sua pienezza. Again, no doubt about it!

Il problema, a mio avviso, è dato dal fatto che i giornalisti dovrebbero continuare a fare i giornalisti, mentre la definizione di una carta d’identità per queste nuove opportunità professionali legate a doppio spago alle problematiche poste dalla scrittura digitale, dovrebbe spettare a dei tecnici qualificati (giornalisti o meno) aventi competenze specifiche. Una simile impostazione permetterebbe infatti di giungere velocemente ad una definizione delle regole (editoriali, ma anche deontologiche) che dovrebbero governare la professione del giornalista digitale contribuendo a darle la dignità di cui è privata al momento. E a darle finanche rappresentanza nei luoghi dove dovrebbe essere rappresentata e dove i giornalisti digitali dovrebbero essere rappresentati.

Ma non solo. Così facendo si permetterebbe anche a dei veri professionisti, di tornare a fare il proprio lavoro e si eviterebbe il primo grosso misunderstanding, e cioè l’idea che per essere giornalista digitale non occorra essere “giornalista”. Questa è, a mio modo di vedere, una posizione infausta: non basta scrivere in Rete per essere un giornalista digitale, alla stessa maniera in cui non dovrebbe bastare un esamino di Stato per diventare un giornalista tradizionale. Senza considerare che le opinioni e i commenti sono una cosa, la possibilità di informare il cittadino in maniera competente è un’altra. Da qui la necessità della creazione di regole che portino finanche ad una identificazione di un processo formativo compatibile con le necessità del giornalista digitale (che, non mi stancherò mai di ripeterlo, sono diverse da quelle del giornalista tradizionale, per ovvie ragioni!).

Riprendendo il giornalista a fare il suo mestiere anche in Rete, sarà sicuramente la volta buona in cui la ricerca della notizia, quella originale e non scopiazzata da questo o quel sito più informato, tornerà ad essere il suo compito primo e imprescindibile. Le famose domande Who? What? When? Where? Why? acquisteranno un senso nuovo, ma accresciuto dalle straordinarie possibilità che offre l’interazione online. Il fare-notizia del futuro somiglierà infatti, per forza delle capacità tecniche che la sosterranno, all’abitare una dimensione brand-new e portentosa di cui oggidì possiamo forse solamente intuirne le immense potenzialità. Nulla più.

Xanadu. Prima ancora che dal Charles Foster Kane di Orson Welles, quel luogo fu abitato, nella memoria dei più, dal Kubla Khan eternato dal grande poeta inglese Samuel Taylor Coleridge (1772-1834). “Kubla Khan”, è noto, fu opera ispirata da un sogno, da una straordinaria visione lirica a suo modo mutilata per sempre dall’arrivo in casa del poeta di un visitatore incauto e inaspettato che ebbe il potere di distrarlo. Dato che anche l’avventura del giornalismo digitale ci appare di-questi-tempi come una meravigliosa opportunità apportatrice di grande conoscenza e di felicità per lo spirito, prima si chiudono le porte al far-west digitale, meglio sarà per tutti.

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